lunedì 16 febbraio 2015

Formazione a catalogo, rispetto del cliente e rischio di impresa

Ormai nove anni fa abbiamo inaugurato la nostra offerta formativa a catalogo. I clienti ai quali offrivamo consulenza in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro non riuscivano a far formare i propri lavoratori come addetti all'antincendio, al primo soccorso, per non parlare dei Rappresentanti. Le aziende di formazione alle quali si rivolgevano al tempo non garantivano una data certa di inizio dei corsi che molto spesso saltavano per il non raggiungimento del numero minimo di iscritti. Così iniziammo noi ad organizzare dei corsi riservati ai nostri clienti, credendo che sarebbero state sufficienti un paio di edizioni per ciascun tipo di corso.

Ci sbagliavamo: insieme alle iscrizioni per una certa data pianificata arrivavano anche iscrizioni per eventuali date future ancora da pianificare. A quel punto sembrò davvero opportuno pianificare i corsi per almeno un trimestre con due edizioni per ciascun corso. A quel tempo i corsi erano solo tre: antincendio rischio basso, primo soccorso per aziende del gruppo B e C e Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza. Durante quel trimestre ricevemmo una telefonata da parte di un nostro collega di Milano che allora non conoscevamo ed oggi è nostro amico: ci chiedeva una convenzione per formare i lavoratori delle sue aziende clienti che avevano sede oltre che a Milano anche a Roma. Era opportuno pianificare i corsi con un orizzonte temporale più ampio e stabilire delle condizioni appetibili per il mercato.

Quindi provammo a guardare la questione con gli occhi dei nostri clienti potenziali per capire cosa vuole un datore di lavoro o un responsabile delle risorse umane da un corso di formazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Pensammo che avesse bisogno di corsi conformi alla normativa vigente, con date certe, con un prezzo di mercato e con pagamento a consumo effettivo. Stavolta non ci sbagliammo. Ancora oggi siamo convinti di aver inaugurato una formula vincente e i dati oggettivi confermano questa opinione.

La pianificazione annuale dei corsi rappresenta l'assunzione di un rischio di impresa. A novembre di ciascun anno pianifichiamo i corsi per tutto l'anno successivo anche basandoci sugli andamenti degli anni precedenti. Tutte le date sono garantite, quindi non necessitano di conferma. Se raccogliamo poche iscrizioni il corso può andare in perdita, se ne raccogliamo molte il corso si rivela molto redditizio. Così è la vita e così è il mercato. Non si può partire solo con la garanzia che tutto andrà bene, il successo è figlio del rischio di impresa.

venerdì 9 maggio 2014

Gli adempimenti di sicurezza per le piccole aziende

Credo di aver perso l'occasione di partecipare ad un convegno molto interessante da titolo "Salute e Sicurezza nel Decreto del Fare. Novità e prossimi sviluppi" che si è tenuto il 5 febbraio ed è stato organizzato da AiFOS e Confcommercio. Ne sono venuto a conoscenza attraverso gli articoli di PuntoSicuro che ricevo quotidianamente, essendo ormai da anni abbonato alla newsletter.

L'intervento di Lorenzo Fantini è stato già oggetto di un post di questo blog, oggi vorrei commentare l'intervento di Pierpaolo Masciocchi, responsabile nazionale sicurezza di Confcommercio sulla semplificazione degli adempimenti per le piccole imprese.

Il tema è in evidenza da molto tempo, anche nelle reazioni degli imprenditori che intendono mettersi in regola con gli adempimenti in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Una volta presentato il preventivo, la reazione del piccolo imprenditore è sempre la medesima: "davvero devo fare tutte queste cose per essere in regola? dopotutto la mia è solo una piccola azienda". A me non resta che esprimere un sincero accordo con la constatazione espressa dal potenziale cliente. A volte condivido con lui la mia personale convinzione secondo la quale il decreto 81 è pensato per l'impresa manifatturiera di medie dimensioni, con i lavoratori che sono lì da sempre ed esauriranno lì la loro intera carriera lavorativa insieme al datore di lavoro, sempre presente nei reparti a sovrintendere a stretto contatto con i capi reparto.

Aldilà della mia personale convinzione, il decreto 81 ha una portata generale ed è apparentemente vero che uno studio professionale con una segretaria ed un ufficio con 100 impiegati devono assolvere agli stessi obblighi in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Varia però l'aspetto quantitativo.

Qualche anno addietro, sulla scorta della Conferenza Stato Regioni che finalmente stabiliva i criteri per la formazione dei lavoratori, qui in azienda ci divertimmo a calcolare l'impegno di risorse espresso in ore/lavoro che l'imprenditore doveva spendere per regolarizzare l'obbligo di formazione nei confronti dei lavoratori attraverso tre esempi di piccole aziende con profili di rischio differenti. Ecco cosa venne fuori:




Come si evince dai dati riportati sopra, al variare della classe di rischio varia a volte la natura degli obblighi e all'aumento del numero dei lavoratori sale sempre il numero di ore lavoro da investire in formazione. Sembrerebbe quasi che l'attuale normativa tenga conto della classe di rischio e della numerosità dei lavoratori. Neppure si riscontra una perfetta uniformità di obblighi formativi, almeno in termini quantitativi, per aziende di diversa classe di rischio. Per aziende diverse quindi gli adempimenti generali di sicurezza sono diversi.

mercoledì 7 maggio 2014

Un'insolita telefonata


Da più di sei anni abbiamo stabilito una serie di convenzioni con aziende partner che si occupano di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Poiché pianifichiamo i corsi su base annuale con date garantite, per alcuni nostri partner che non hanno la formazione come core business oppure operano in aree diverse da Roma (soprattutto Nord Italia) è quanto mai comodo acquistare da noi dei corsi a prezzi vantaggiosi per rivenderli ai propri clienti. Così nei nostri corsi a calendario partecipano sia i lavoratori dei nostri clienti che i lavoratori dei clienti delle nostre aziende partner.

La partnership funziona fintantoché i prezzi dei corsi garantiscono ai convenzionati un onesto margine di guadagno e le date dei corsi sono garantite (niente storie del tipo: il corso verrà attivato al raggiungimento del numero minimo dei partecipanti). Un’altra condizione per il successo della partnership è il patto di non cooptazione e di non concorrenza. Qualsiasi cliente che entra nella nostra aula provenendo da un convenzionato rimarrà sempre e comunque un cliente del nostro partner e noi non lo acquisiremo mai come cliente diretto.

Eppure talvolta alcuni clienti dei nostri partner tentano di scavalcare la convenzione. Ecco la ricostruzione di una telefonata risalente all’altro ieri:

Cliente: “Buongiorno, avrei bisogno di informazioni su un corso di aggiornamento di primo soccorso”

Safer: “Buongiorno, il prossimo corso è previsto per il 21 Maggio dalle 09,00 alle 13,00 presso la nostra sede…qual è il nome della società da cui chiama?”

Cliente: “XXXXX”

Safer: “Il nome dell’azienda non mi è nuovo, attenda un momento in linea che faccio una ricerca… La vostra società è già stata nostra cliente ma indirettamente, nel senso che è stata inviata ai nostri corsi da un nostro convenzionato”.

Cliente: “sì e vero, abbiamo fatto dei corsi da voi tramite YYYYY”.

Safer: “Per un patto di lealtà professionale la pregherei di ricontattare il nostro convenzionato per avere un preventivo”.

Cliente: “va bene, allora contatteremo YYYYY”.

Infatti, nella nostra convenzione c’è una clausola che recita: “la Safer stipula con i propri convenzionati un patto di non concorrenza; tale patto impegna la Safer a non sottrarre i clienti ai propri convenzionati, qualora la Safer venisse ricontattata (per qualsiasi servizio) da un loro cliente, lo stesso sarà rimandato al convenzionato d’origine”.

Se non avessimo rispettato sempre la clausola di non cooptazione e non concorrenza non avremmo raccolto più di 35 convenzioni negli ultimi sei anni.

giovedì 17 aprile 2014

L'occasione perduta degli organismi paritetici

La newsletter odierna di Punto Sicuro si apre con un illuminante articolo su una conferenza tenuta da Lorenzo Fantini questo inverno circa il decreto del fare e sulle future modifiche che verranno apportate al D.Lgs. 81/08. Tra queste è prevista una modifica all'articolo 37 riguardante il ruolo degli Organismi Paritetici nella formazione dei lavoratori.

Si prevede di modificare il comma 12 di detto articolo che attualmente recita così: "La formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire, in collaborazione con gli organismi paritetici, ove presenti nel settore e nel territorio in cui si svolge l’attività del datore di lavoro, durante l’orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori".

La modifica proposta vuole inserire "può" al posto di deve. Nelle intenzioni del relatore "in questo modo così togliamo il terreno da sotto i piedi a chi è nato organismo paritetico l’altro ieri, non avendo la competenza tecnica per svolgere attività in materia di salute e sicurezza sul lavoro ... Quindi vado all’organismo paritetico non perché me lo dice il 37 comma 12 del Testo Unico, ma perché io sono convinto che mi possa aiutare a fare una buona attività di formazione, che è esattamente la logica in cui – secondo me – va collocato il sistema”.

Si recita così l'ouverture di un requiem per gli organismi paritetici, anche per quelli mai nati. Da imprenditore impegnato nella consulenza e nella formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro sono molto amareggiato.

L'entrata in vigore del D.Lgs. 81/08 aveva riportato in auge la questione della collaborazione con gli Enti Paritetici che era già stata un requisito dimenticato del precedente D.Lgs. 626/94. Nell'urgenza di definire una modalità di collaborazione non ben specificata e di offrire una formazione conforme, come molti altri miei colleghi ho assistito ad una dinamica incredibile. Da un lato gli organismi paritetici emanazioni delle organizzazioni sindacali più rappresentative si sono trovati piuttosto disorientati: molti organismi erano sprovvisti di protocolli di collaborazione, con molte sedi territoriali mancanti e perlopiù mal disposti a stabilire collaborazioni con enti privati. Dall'altro lato fiorivano molti sedicenti Organismi Paritetici che rappresentavano niente di più che interessi privatissimi ai quali era molto facile aderire, bastava riconoscere una modesta cifra per ogni attestato e rispettare un semplice protocollo per quadrare il cerchio.

Poi venne la circolare del ministero che stabiliva la collaborazione con gli Organismi Paritetici come mera comunicazione di inizio corso con preavviso di 15 giorni, cui poteva seguire un parere non vincolante poiché in tale circolare si decideva che la collaborazione con tali organismi costituisse solo una presunzione semplice di conformità.

Gettare la croce solo sugli organismi paritetici "finti, che lavorano male" (parole di Lorenzo Fantini riportate nel succitato articolo di Punto Sicuro) è troppo facile e sbrigativo, seppure contenga una parte della verità. Il complemento di quella verità deve essere ricercato nella mancata attivazione degli Organismi Paritetici veramente rappresentativi. Se essi avessero stabilito tempestivamente dei protocolli di collaborazione fondati su criteri e metodi di qualifica efficaci per gli enti di formazione privati sul territorio, forse le cose sarebbero andate diversamente. Gli Organismi Paritetici avrebbero potuto incarnare un primo filtro utile a discriminare la formazione realmente conforme ed efficace, rendendo inutile la prolificazione degli organismi furbi e inutili.

lunedì 14 aprile 2014

Se bastassero solo due documenti...

Per la qualifica delle imprese appaltatrici, il principio di responsabilità solidale del committente ha scatenato una psicosi paranoide. Non è raro, per un'azienda di consulenza come la nostra, ricevere comunicazioni allarmate e urgentissime da parte di alcuni nostri affezionati clienti che, appena aggiudicato un appalto, si vedono richiedere dal committente una massa di documenti enorme. Sembra quasi che il committente si voglia sostituire agli enti deputati al controllo, nel timore che venga imputata a sua colpa qualsiasi mancanza in materia di tutela della salute e della sicurezza verso i lavoratori della impresa appaltatrice.

Speriamo che questo crescendo psicotico possa essere perlomeno arginato dal recente interpello pubblicato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali attraverso la Commissione per gli Interpelli. Infatti il 27 marzo 2014 è stata pubblicata la risposta ad un quesito posto dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili che chiedeva quali documenti una qualsiasi ditta appaltatrice fosse obbligata a presentare al committente ai fini della qualifica secondo l'articolo 26 del Decreto Legislativo n. 81/2008. In particolare il Consiglio Nazionale elencava tra gli altri documenti: il consenso all'utilizzo dei dati sottoscritto dal lavoratore (privacy), copia del Documento Unico di Valutazione dei Rischi di Interferenza (DUVRI) della ditta appaltatrice (sic!), copia del modello LAV (assunzione e variazioni per cittadini extracomunitari (di nuovo sic!).

La commissione per gli interpelli, forse stupita quanto me per la richiesta di documenti così poco pertinenti alla qualifica di un'impresa, premette il dettato legislativo dell'articolo 26 del Decreto Legislativo n. 81/2008: il datore di lavoro committente, in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture è tenuto a verificare l'idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici in relazione ai lavori, ai servizi e alle forniture da affidare in appalto attraverso l'acquisizione del certificato di iscrizione alla CCIAA e l'autocertificazione dell'impresa appaltatrice circa il possesso dei requisiti di idoneità tecnico professionale.

Quindi in risposta al quesito la Commissione ritiene che bastano due documenti come elementi sufficienti a soddisfare la valutazione dell'idoneità tecnico professionale.

Ovviamente la risposta sottolinea come il DUVRI non può essere richiesto all'impresa appaltatrice poiché è un obbligo del committente la sua redazione e la sua allegazione al contratto d'opera. Il committente è invece tenuto a richiedere all'appaltatore i documenti e le informazioni necessarie all'elaborazione del DUVRI.

mercoledì 30 ottobre 2013

Torri d'avorio e consulenti erranti

C'è una parte del mio lavoro che preferisco a tutte le altre: la possibilità di girare la città e il Paese, vedere quartieri sconosciuti e città nuove, incontrare persone comuni e fuori dall'ordinario, conoscere professioni e mestieri di cui non sospettavo neppure l'esistenza. Il piacere della scoperta di un luogo sconosciuto supera il disagio dello spostamento, l'onore di conoscere altre persone supera il disagio del primo approccio, lo stupore per l'ingegno di alcuni imprenditori supera la difficoltà di comprendere la complessità di alcuni processi produttivi.

Grazie soprattutto al mio lavoro di consulente e di formatore (spesso presso la sede del cliente), mi permetto una conoscenza del territorio, delle persone e del lavoro davvero appagante; soprattutto non saprei come ottenerla altrimenti.

Eppure mi relaziono spesso con alcuni altri professionisti che sono di opinioni e abitudini diverse dalle mie. Sulle prime tendo a demonizzare il diverso: in questo caso i professionisti che vivono arroccati nelle loro torri d'avorio e pretendono di avere contatti con clienti e partner attraverso le nuove tecnologie di comunicazione. Per me il telefono è una nuova tecnologia di comunicazione, figuriamoci l'email, i messaggini, i social network che rappresentano un futuribile fuori dalla mia comprensione. Sono orgogliosamente all'antica preferendo sempre un contatto dal vivo e allo stesso tempo credo che i professionisti contemporanei nelle loro torri d'avorio possano solo immaginare i bisogni dei loro clienti proponendo astrazioni infarcite di termini tecnici e specialisti.

E a volte il mio giudizio è affrettato nonché errato. Perché effettivamente ci sono persone che conoscono a fondo il loro mestiere e i bisogni dei loro clienti senza dovere entrare in contatto con loro in maniera così "fisica". Alla fine siamo diversi: il mio orientamento è sulla persona non sulla conformità tecnica, la mia maggiore soddisfazione è sciogliere un carattere diffidente invitando una persona a parlare di sè e della sua carriera. Non riesco a privarmi dei dettagli di un luogo e di una lavorazione percepiti con i miei occhi e la mia presenza. Non sono spesso in ufficio né a casa, ma sono sempre in me, sopratutto con gli altri.

sabato 12 ottobre 2013

L'abito non fa davvero il monaco

Venerdì scorso due bikers sono venuti in ufficio per parlare con me (previo appuntamento). Certo non mi aspettavo due clienti del genere con giacche di pelle, barba incolta e tatuaggi. Dopotutto non avevano preavvisato il loro aspetto con coloro i quali avevano fissato l'appuntamento per me. Solo dopo qualche minuto di segreto smarrimento ho capito chi fossero: un nostro vecchio cliente ci aveva segnalato al suo assicuratore (il biker con più tatuaggi) il quale a sua volta aveva girato la segnalazione ad un suo cliente (il biker con lo sguardo più deciso) che aveva bisogno di una certificazione ISO 9001. Così due biker erano seduti nel mio ufficio, di cui uno solo sarebbe diventato il mio cliente (quello con lo sguardo deciso) mentre l'altro era venuto solo per accompagnarlo (quello con i tatuaggi) anche se poi mi ha venduto una fideiussione.

Nella mia carriera ho avuto pochi clienti come il biker dallo sguardo deciso. Una persona che, diversamente da qualsiasi impressione a prima vista, ho trovato squisita nei modi, nelle parole e nelle azioni. Uno sguardo deciso si abbina in lui a una determinazione che investe la sua intera persona. Senza convenevoli né cerimonie abbiamo chiuso un accordo con una stretta di mano, gli impegni tra le parti procedono spediti secondo criteri di pragmatica e rispetto reciproco che raramente ho riscontrato in imprenditori compiti ed eleganti.

Per non parlare del secondo biker, quello con tanti tatuaggi che è un assicuratore: da pochi fornitori ho ricevuto tante attenzioni e tanta professionalità.

Sono tornato con la memoria ai primi tempi del mio lavoro come consulente, quando credevo che un certo aspetto fosse importante per fare una buona impressione sui clienti. Allora avevo riempito il mio guardaroba di completi scuri tagliati su misura. Già dopo poco tempo, le prime delusioni fornite da clienti eleganti quanto me avevano fatto vacillare la mia ingenua convinzione che l'abito facesse il monaco. Smessi i completi scuri, iniziai a vestirmi casual e smisi di giudicare gli altri dal loro aspetto.

Ma evidentemente qualche pregiudizio era sopravvissuto in me, se solo la scorsa settimana sono rimasto così stupito dalla squisitezza di due bikers. Forse proprio grazie a loro ho smesso davvero di giudicare a priori ed ho iniziato ad ascoltare e comprendere gli altri.

E quindi in parte anche me stesso.